Lo scandalo di Magritte che consapevolmente produce falsi intenzionali di altri autori, come Picasso, Braque, De Chirico, nasce nel 1988 quando l’antico amico (e poi nemico) Marcel Mariën pubblica la sua autobiografia dal titolo Le Radeau de la mémoire nella quale scrive di Magritte che non era quella persona per bene che tutti credevano, poiché “Magritte si è comportato molte volte in modo molto insolito: realizzando dei Picasso, dei Braque e dei De Chirico falsi. Inoltre realizzando (con suo fratello che poi le stampava) banconote false. Infatti, nella vita quotidiana, non si comportava affatto da borghese, faceva molti ‘scherzi’. È una cosa troppo grande per descriverla…”. L’affermazione di Mariën, che d’altra parte dice di avere avuto il compito di piazzare sul mercato questi falsi, ha chiaramente provocato un grande dibattito che però oserei dire è servito per comprendere decisamente meglio l’opera del grande surrealista belga.
Infatti, queste presunte falsificazioni di Magritte (presunte poiché non c’è nessuna prova certa e indiscutibile che la notizia data da Mariën corrisponda a verità) possono comunque essere lette come strategie sovversive da lui messe in campo contro la sua stessa opera ufficiale, che egli allo stesso tempo costruisce e demolisce, ponendo lo spettatore nell’eterna incertezza. E d’altra parte la falsificazione e il plagio sono spesso considerati temi centrali nel Surrealismo.
Facendo un passo indietro, era stato proprio Marcel Marïen a scrivere il saggio introduttivo della prima monografia sull’arte di René Magritte, intitolata Magritte, pubblicata nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, mentre il Belgio era occupato dai tedeschi. Il pittore in persona scelse 20 immagini per il libro che furono riprodotte a colori, una scelta non scontata considerati i costi più alti e la precaria posizione economica di Magritte che non era ancora un pittore affermato. Tra l’altro vale la pena ricordare che Magritte selezionò un gruppo molto particolare di opere, piuttosto eccentrico rispetto a quelle più universalmente note, al punto che su 20 tavole, 10 riproducevano lavori del periodo “impressionista”, che ci mostrano come per Magritte l’arte non è il prodotto solitario di un individuo creativo, ma è un’invenzione collettiva fatta di plagio e di collaborazione con altre opere d’arte. Ed è proprio in relazione alle alte spese per questa prima mongrafia sull’artista che Marcel Mariën fa quelle affermazioni sui falsi che abbiamo citato. Secondo Mariën Magritte avrebbe prodotto e venduto falsi artistici tra il 1942 e il 1946, ed è per questa sua attività che poi Magritte avrebbe avuto un atteggiamento molto “rilassato” in materia, arrivando ad affermare che “acquistare un diamante falso senza saperlo causerà lo stesso grado di soddisfazione [come acquistarne uno vero], a causa del fatto che si è pagato un prezzo elevato per questo.”
In realtà, la critica più recente ha letto le presunte falsificazioni di Magritte in stretta connessione col corpo centrale delle sue opere “autentiche”. Infatti questi falsi si possono leggere inseriti all’interno di una riflessione fondamentale e molto ampia in tutta la carriera dell’artista sulle questioni della paternità, autenticità e, in definitiva, con la sua dichiarata sovversione e denuncia della falsità delle ideologie e delle realtà capitaliste. Infatti lo stesso Marcel Mariën in quella prima monografia del 1943 afferma che: “Il punto particolare della pittura [di Magritte]… è una rivolta permanente contro i luoghi comuni dell’esistenza.”
Allora i falsi di Magritte potrebbero far parte di un metodo più ampio dell’artista teso a sconvolgere le “abitudini di pensiero” capitaliste borghesi occidentali. Dunque queste opere apparentemente “marginali” minacciano continuamente di distruggere la “coerenza” dell’opera e del suo stesso autore. Le presunte falsificazioni di Magritte, come i suoi periodi diversi, spesso ignorati dalla critica, (come quello che lui chiama Vache o Vacca, cioè opere che parodiano il fauvismo, e il periodo impressionista degli anni Quaranta), sono elementi da cui emerge un Magritte direi molto più interessante.
I presunti falsi di Magritte allora potrebbero far parte di una “contro-opera” in opposizione al Magritte ufficiale e “storico-artistico”, che sovverte e mina qualsiasi semplice sintesi di Magritte come artista coerente e autoconsistente. Anzi, questa nozione di “incertezza assoluta” è qualcosa che ci permette di comprendere un aspetto importante delle immagini di Magritte: il tradimento dello spettatore, che è indotto a confondere e quindi a interpretare erroneamente una cosa per un’altra. La negazione, il “ceci n’est pas” e l’incertezza sono centrali nella sua arte che nega le nozioni occidentali di autenticità, originalità e significato genuino dell’opera d’arte.
Non è un caso che una delle sue opere più note sia proprio La Trahison des Images (1928) in cui il tradimento è già presente nel titolo. Ma soprattutto in quest’opera emerge una nuova gerarchia tra testo e immagine che viene immediatamente destabilizzata, poiché l’immagine contiene il testo e il testo contiene l’immagine, portando all’impossibilità di dare una risposta a che cosa sia cosa. D’altra parte, la frase “Ceci n’est pas” si rifà direttamente alla specificità della falsificazione.
Ma supponiamo che uno di questi falsi arrivi nel laboratorio di Art-Test, come potremmo distinguere un falso Picasso prodotto da Magritte da un Picasso autografo? Non sarebbe facile, perché gli artisti erano coevi e quindi avevano accesso agli stessi materiali. Solo l’analisi della tecnica esecutiva potrebbe dimostrare un modo diversi di procedere da quello di Picasso. Con la diagnostica si svela infatti quello che fanno gli artisti e che poi resta nascosto sotto gli ultimi strati di colore.
E un falso Picasso realizzato da Magritte come potremmo valutarlo? Del resto è vero che non ci sono dipinti falsi, ma solo quadri male attribuiti!