Quando le indagini diagnostiche spiegano la storia dell’arte

Giu 25, 2024 | Autenticazioni ed attribuzioni, Scoperte

Una Vergine di Murillo per la quale c’è da diventare pazzi

Murillo occupa un posto particolare all’interno di quella scuola spagnola del Siglo de Oro proprio per la sua particolare dedizione all’immagine di Maria, capace di rispondere alle più diverse esigenze devozionali.

La Madonna del latte della Galleria Corsini, detta anche Madonna Zingara, è sicuramente uno degli esempi più noti, soprattutto emblematico della capacità del pittore spagnolo di rappresentare i soggetti religiosi in un ambito di “narrazione familiare” e di semplicità compositiva.

Murillo ha costruito questa composizione intorno alle sole figure della Vergine e del Bambino, all’aperto ma in un paesaggio lasciato volutamente indistinto, con un cielo grigio e un muro cadente. Unici elementi vegetali sono l’edera che scende sul muro e il cespuglio sulla sinistra, che con l’ultimo restauro ha rivelato piccoli boccioli rosa e bianchi. Tutto è concentrato sui due protagonisti i cui sguardi, rivolti direttamente allo spettatore, costituiscono il vero punto focale dell’opera.

L’opera non è datata ma lo stile, le pennellate veloci quasi “sfumate”, la calibrata composizione sono tutti elementi che la fanno collocare nella fase matura della produzione del pittore, intorno al 1675. Dunque siamo davanti a uno dei punti di arrivo delle sperimentazioni compositive sul tema della Madonna seduta con il Bambino in braccio affrontato da Murillo più volte in precedenza, e cito soltanto quella giovanile ora a Palazzo Pitti (1644-1649).

Rispetto però a tutte queste precedenti composizioni, questa Madonna della Galleria Corsini presenta delle differenze sostanziali, che la rendono un unicum nella produzione del pittore. Maria e il Bambino sono caratterizzati da fattezze “popolari” estremamente marcate. La Vergine, in particolare, è una donna più matura, dai tratti duri e realistici. La madre e il figlio hanno appena interrotto l’allattamento, dichiarato esplicitamente dal seno scoperto di Maria, un elemento davvero inedito rispetto alle sperimentazioni precedenti del pittore, ma soprattutto funzionale a conferire ulteriore veridicità alla scena. Colte di sorpresa dal nostro arrivo, le due figure si interrompono e si volgono a guardarci con quegli occhi profondi e magnetici che tanto colpiranno l’immaginario ottocentesco.

Purtroppo fino a oggi non sono emerse notizie sulla commissione di quest’opera, che dovette comunque essere di un certo impegno, viste le dimensioni e la novità delle soluzioni figurative. Se non possiamo ancora dire nulla sull’origine e sulla prima committenza del quadro, grazie all’ultimo restauro e alle indagini diagnostiche che lo hanno accompagnato, sono emerse nuove e importanti informazioni sulla genesi della sua composizione.

Il restauro è stato effettuato dal laboratorio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, ed è il terzo intervento documentato sulla tela, dopo alcuni lavori ottocenteschi e un restauro degli anni Novanta del Novecento.

La serie di indagini avviate  per la prima volta sulla tela ad ottobre 2020 (consistenti in radiografia, riflettografia IR, analisi multispettrali, fluorescenza a raggi X) e l’accurata opera di pulitura per rimuovere le vernici ossidate e vecchi ritocchi, hanno consentito di individuare non soltanto tracce di ripensamenti, dettagli eliminati, o diversi equilibri compositivi, come accade di frequente nell’iter creativo di un’opera, ma evidenti segni di un precedente dipinto.

Soprattutto la radiografia è stata sorprendente, poiché ha rivelato al di sotto dell’attuale strato pittorico la presenza di una figura inginocchiata in un paesaggio Il volto rivolto verso l’alto; le braccia aperte, con la mano sinistra sopra un libro. L’abito doveva essere una sorta di saio, come chiariscono le lunghe pennellate che ne delineavano le pieghe fino al margine sinistro della tela e doveva essere di colore scuro, vista la presenza costante di nero d’ossa in quella zona del quadro. Questo insieme di elementi porta facilmente a riconoscere in questa figura l’immagine di San Francesco nella consueta iconografia che lo vede inginocchiato in estasi in eremitaggio.

L’opera sottostante la Madonna del latte sembra comunque condotta a uno stato avanzato di finitura. Allo stato attuale, non è però possibile fornire un riferimento cronologico preciso. Il riuso delle tele non è una novità, ma qui l’eccezionalità sta nel fatto che il pittore ha reimpiegato alcune parti appartenenti alla figura precedente per la nuova figurazione, come l’albero integrato nelle ombre del muro a destra o le pieghe del saio riutilizzate nella veste di Maria, e molte delle ricche e decise pennellate che definivano i contorni, per esempio del libro o del saio in basso a destra, sono oggi leggibili anche a occhio nudo. Gli esami hanno evidenziato, inoltre, interventi ripetuti dell’artista concentrati in alcune parti della figura, in particolare sugli occhi, uno degli elementi di grande attrazione di questa immagine femminile e sul seno, nella versione definitiva parzialmente scoperto, ma in una fase precedente celato dalla veste.

Ancora una volta, le indagini diagnostiche non solo hanno garantito un restauro attento a rispettare ogni parte dell’originale, anche i ripensamenti del pittore stesso, ma hanno dato la possibilità di aggiornare e accrescere le informazioni e le notizie sull’artista e sul dipinto.

Quest’immagine godette di un’incredibile fortuna, soprattutto nell’Ottocento, che trovò il suo culmine nelle parole scritte da Gustave Flaubert, il quale prima l’8 aprile 1851 scrive alla madre: «ho visto l’altro giorno una Vergine di Murillo per la quale c’è da diventare pazzi […] e da avere un mancamento nel tentativo di farne una simile». Poi scriverà «ho visto la Vergine di Murillo che mi perseguita come un’allucinazione perpetua». E infine, ancora il 4 maggio, Flaubert confessa a un amico: «sono innamorato della Madonna di Murillo della Galleria Corsini. La sua testa mi perseguita e i suoi occhi continuano a passarmi davanti come due lanterne danzanti».

La straordinaria fortuna dell’opera è testimoniata anche da un numero altissimo di copie che contribuirono a diffonderne il modello e l’immagine. Basti pensare che nell’elenco dei Pittori ammessi a copiare nella Galleria sono ricordate ben settantacinque repliche solo per il periodo 1841-1854!

Filippo-Melli
Filippo Melli