Non viene nominata da Draghi nel rapporto sulla competitività europea, e nella nuova Commissione Europea viene assegnata al ministero più debole. Perché?
Iniziamo dai fatti. Il settore culturale e creativo rappresenta circa il 4,4% del PIL dell’Unione Europea e genera oltre 500 miliardi di euro di fatturato ogni anno, ed è quindi paragonabile ad altre grandi industrie come l’agricoltura o i servizi finanziari. Contribuisce all’economia europea sia in termini economici diretti che in termini di occupazione, innovazione, coesione sociale e, non secondariamente, come impatto dell’Europa a livello internazionale. Attraverso arte, musica, letteratura, moda, film e design, l’Europa è ancora una potenza culturale globale, e l’Europa proietta i suoi valori e la sua identità nel mondo, il valore della democrazia e dei diritti, agendo sulle relazioni diplomatiche e attirando investimenti esteri.
Ma nel recente rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione Europa, – competitività il nuovo mantra-, la parola cultura non appare mai.
E per il collegio dei Commissari Europei, ovvero per i nuovi “ministri” dell’Unione, le deleghe sulla cultura sono state separate per la prima volta da quelle sull’Istruzione. La Cultura è messa come secondo titolo nelle competenze del Ministero “Equità intergenerazionale, Cultura, Giovani, Sport”.
Il ministero è affidato al maltese Glenn Micallef, un giovane funzionario di 35 anni a cui è stato assegnato questo portfolio essenzialmente come “punizione” dal momento che Malta si è rifiutata di proporre come Commissario una donna o una persona con più esperienza, secondo quello che si mormora a Bruxelles.
In base al diverso grado di “competenza”, ovvero di potere legislativo, che ha l’UE sulle diverse materie, alcuni “ministeri” sono considerati più importanti di altri. Per esempio, l’UE ha competenza esclusiva in materia di politiche di concorrenza e per questo il commissario alla Concorrenza è uno dei ruoli più prestigiosi all’interno della Commissione.
Le materie su cui l’UE ha competenza esclusiva sono infatti quelle in cui solo e soltanto i vertici europei possono legiferare. Gli stati membri hanno infatti deciso, entrando nell’Unione Europea, di mettere a comune l’azione in questi ambiti, decidendo che sia l’UE a promulgare indipendentemente leggi vincolanti per tutti gli Stati.
Poi ci sono le competenze congiunte, anche dette concorrenti, dove va raggiunto un accordo, ed infine gli ambiti che sono competenza esclusiva dei singoli Stati, dove la UE non può legiferare ma solo supportare “dall’esterno”, principalmente finanziando alcune attività considerate strategiche.
La Cultura è da sempre una competenza esclusiva dei singoli stati insieme all’istruzione, allo sport, alle politiche per la gioventù (e anche alla tutela della salute, come abbiamo visto durante il COVID). Di solito il presidente della Commissione UE abbina queste deleghe ad altre di maggiore peso politico: per esempio attualmente la cipriota Kyriakidou è la commissaria alla tutela della salute (competenza esclusiva degli Stati) e allo stesso tempo alla protezione dei consumatori (competenza congiunta).
Mentre questa volta al “povero” Micallef sono state affidate tutte competenze in cui la UE non ha potere legislativo, rendendo di fatto il suo ministero poco significativo.
La Commissione Europea si è data recentemente un “Piano di lavoro per la Cultura 2023-26”, e principalmente finanzia il programma Europa Creativa con un budget di soli 2,2 miliardi di euro da spendersi tra il 2021 e il 2027, per promuovere la diversità culturale e linguistica e il patrimonio culturale europeo, soprattutto relativamente alla digitalizzazione, al turismo e alla valorizzazione.
E si osserva non solo un declino nell’interesse per questo ambito da parte della Commissione Europea ma anche un diverso focus.
La prima volta in cui viene menzionata esplicitamente la Cultura come mandato di un Commissario Europeo è con la Commissione Delors e poi con la Commissione Prodi 1999-2004 arriva un’attenzione particolare alla protezione del patrimonio. Viviane Reding venne nominata Commissaria per l’Istruzione e la Cultura.
Negli anni a questo incarico si sono aggiungi altri ambiti, dalla gioventù al multilinguismo, dallo sport alla ricerca, di fatto diluendo il mandato e allontanando l’asse dalla protezione del patrimonio all’integrazione delle culture. Con la Commissione che comincerà ora, sembra si sia toccato il punto più basso.
Eppure in questo settore lavorano circa 8,7 milioni di persone in Europa (circa il 3,8% dell’occupazione totale nell’UE, dai creativi (artisti, scrittori, musicisti) ai tecnici (scenografi, programmatori digitali, esperti di marketing culturale, diagnosti…). È un settore particolarmente attrattivo per i giovani, con una percentuale di lavoratori sotto i 30 anni superiore rispetto ad altri settori. Inoltre, incoraggia l’innovazione, con un’alta percentuale di freelance e piccole e medie imprese, che spesso sperimentano nuove tecnologie e modelli di business. Il settore culturale ha poi un effetto moltiplicatore su altre industrie, come il turismo.
Inoltre, le politiche culturali e creative promuovono l’interazione tra diverse comunità, contribuiscono alla comprensione reciproca e offrono opportunità di partecipazione per persone di tutte le età e provenienze.
Allora perché il settore culturale non è menzionato nel rapporto Draghi e perché riceve così poca considerazione da parte della Commissione Europea? Chi l’ha fatta sparire? Chi ha paura della cultura?