In un momento così difficile, in cui torna tristemente la memoria ad immagini purtroppo già viste, crediamo sia importante dare voce a professionalità del nostro mondo che danno un contributo importantissimo.
Un visione romantica quanto errata dell’archeologo lo vede come scopritore di tesori in luoghi lontani. Sicuramente questa parte del lavoro è quella più affascinante e ci restituisce reperti inaspettati o la cui notizia ritroviamo solo nelle fonti antiche, ma l’archeologo ricopre oggi un ruolo sociale, è il garante della memoria di una comunità, la sua attività è anche supporto alla salvaguardia di un luogo e per questo parte del suo lavoro è formare i cittadini, per far sì che ne abbiano cura e la proteggano.
Giancarlo Garna è un archeologo. Formatosi presso l’Ateneo di Padova, come libero professionista ha partecipato a molteplici campagne di scavo in Italia e all’estero. Si occupa attivamente di rapporti tra Archeologia e Politica, di lotta al saccheggio e al traffico illegale di Beni Culturali, soprattutto in Medio Oriente. Dal 2014 al 2016 collabora con la Cooperazione Italiana in Iraq nell’ambito della formazione di esperti e maestranze locali in ambito archeologico.
Insignito del titolo di “Person of the year 2017” dall’Osservatorio Internazionale Archeomafie, nel 2018 gli è stato assegnato il “Prix Asolapo Italia 2018-2019 per la pace“, in favore della storia, della cultura e della pace.
Giancarlo Garna ed Art–Test partecipano alla Scuola Biennale di Alta Formazione in Archeologia Giudiziaria e Crimini contro il patrimonio culturale, a cura del Centro Studi Criminologici di Viterbo.
Perché hai scelto di essere un archeologo?
Sin da bambino ho sempre avuto la passione per lo studio della Storia. Inoltre a dieci anni lessi un libro sulla scoperta dell’antico sito siriano di Mari e mi chiesi se mai avrei avuto la possibilità di vedere luoghi come quello. Col tempo mi sono sempre più interessato agli aspetti della vita quotidiana e delle credenze degli Antichi, soprattutto del popolo, spesso dimenticato dalla narrazione storica stessa; e così il passaggio all’Archeologia è divenuto praticamente naturale. E nel 1999 sono andato a Mari, da Archeologo, un sogno da bambino realizzato, non succede spesso.
Cosa significa essere un archeologo oggi?
L’Archeologia è molto cambiata, è una disciplina che si è aperta a tutte le altre scienze collegate, dalla Geologia all’Archeometria fino a svariate tipologie di prove analitiche in laboratorio.
Essere un archeologo oggi significa voler arrivare a ricostruzioni storiche sempre più precise ed esaustive, ma con un approccio multidisciplinare e con l’obiettivo di renderle fruibili al pubblico . E nel fare ciò si deve assumere un nuovo ruolo sociale e attivo, divenendo motore della ricerca sul territorio. Si deve avere la funzione di conservatore e divulgatore della memoria, riuscire ad accrescere la consapevolezza del proprio territorio e della sua storia, formando anche una generazione di persone che operino in tal senso. Lavorare quindi con lo sguardo sul passato, un occhio al presente e una visione ampia e articolata per il futuro.
Durante la tua carriera hai più volte partecipato a missioni in aree in cui la guerra ha inciso non solo nel tessuto umano ma ha lacerato anche il patrimonio. In che modo le missioni archeologiche sono importanti per la ricostruzione di un territorio e della sua cultura?
Le missioni archeologiche hanno un ruolo fondamentale, non solo nella documentazione e conservazione delle vestigia, ma anche per le comunità, che quel territorio abitano. Il coinvolgimento delle comunità locali e della formazione dei loro archeologi diventano strumenti fondamentali per la difesa, la tutela e la valorizzazione del territorio e della sua storia. Soprattutto in quelle aree e territori bersagliati dalla povertà, dalle guerre e dai meccanismi perversi ad essa connessi come le distruzioni dei monumenti e dei siti ed il commercio illegale delle antichità e dei Beni Culturali.
Le Missioni Archeologiche contribuiscono a creare consapevolezza del valore, non solo storico ma ad ampio raggio, della cultura di un territorio. Inoltre sviluppano un’attitudine alla sua difesa, riescono a far capire che si tratta di un valore aggiunto, anche come motore di possibilità lavorative ed economiche.
Il nostro tempo, dopo due lunghi anni in cui tutto è stato riprogrammato, vede ora un conflitto bellico che rischia di cancellare o sicuramente compromettere la cultura di un’intera nazione. In emergenza, come possono le missioni di azione archeologica aiutare a limitare i danni collaterali? Cosa possono fare le comunità internazionali e i singoli in frangenti?
Durante un conflitto in atto diviene particolarmente difficile operare direttamente sul campo, però si può cercare, nei limiti delle condizioni di sicurezza, di continuare a documentare e catalogare il patrimonio culturale al massimo possibile, segnalando e collaborando alla messa in sicurezza del patrimonio stesso e delle sue testimonianze.
La Comunità internazionale deve continuare a stigmatizzare i bombardamenti indiscriminati, segnalandoli e cercando di imporre aree di rispetto da non attaccare e accusare per crimini, non solo di guerra, ma contro l’umanità, chi non rispetta tale divieto.
Le nuove tecnologie, la diagnostica su larga scala e su aree puntuali come possono essere utili, sia nel breve che nel lungo termine?
Le nuove tecnologie sono utili a tutto spettro, in quanto aprono nuove prospettive di ricerca e di interpretazione dei rinvenimenti, sia attuali, sia di quelli passati. Permettono uno sguardo più approfondito sulle nuove e sulle vecchie scoperte, che porta a rivedere le convinzioni passate e a formulare ipotesi sempre più precise in fase di ricostruzione storica. Inoltre sono estremamente utili nella lotta al traffico illegale dei Beni Culturali e alla loro falsificazione, determinando non solo l’autenticità degli oggetti, ma anche scoprendo le false certificazioni di Provenance di oggetti trafugati o saccheggiati, immessi sul mercato della libera vendita.