Requiem per le autenticazioni fatte da archivi e fondazioni?

Feb 21, 2024 | Art Word, Patrimonio Culturale, professionisti della cultura

Una fondazione non è il verbo: tutti assolti dal reato di contraffazione di opere d’arte al processo di Bolzano per i cinque presunti falsi “De Dominicis”.

Gli elementi portati dall’accusa, ovvero dalla Fondazione De Dominicis, che sosteneva la non autenticità di 5 opere di collezione privata, sono stati giudicati meramente soggettivi ed il giudice ha deciso per l’assoluzione.

Il tribunale ha sottolineato come per dimostrare la paternità di un’opera oltre ogni ragionevole dubbio non sia sufficiente portare come prove la “morbidezza del tratto” e “accuratezza del dettaglio”.

E qui si è messo il dito nella piaga. Infatti, in mancanza di una regolamentazione adeguata o di enti super partes e nonostante vengano scambiati beni di notevole valore, in Italia come nel resto del mondo, il mercato dell’arte da tempo si avvale o si affida per l’autenticazione all’inclusione di un’opera in un catalogo ragionato stilato da un famoso connoisseur, o alla certificazione da parte dell’archivio o della fondazione di rappresentanza.

Tuttavia, all’interno di un processo penale queste metodologie spesso hanno la valenza di mere interpretazioni, valutazioni e opinioni soggettive, più che elementi fattuali e quindi sono considerate giuridicamente irrilevanti.

E spesso sono irrilevanti tout-court. Soprattutto quando sono basate sull’opinione personale di un esperto, senza che questo possa portare nessuna prova, tanto è vero che cambiano al cambiare dell’esperto di grido.

La sentenza di Bolzano ha evidenziato la necessità di una revisione critica di tali pratiche, al fine di assicurare un processo di autenticazione equo e trasparente.

In particolare alcuni passaggi della sentenza sono particolarmente interessanti per esempio quello secondo cui l’attribuzione dell’autenticità di un’opera d’arte è un’attività aperta a chiunque abbia competenze nel settore e non deve essere limitata da interessi particolari o riservata in via esclusiva all’archivio di riferimento o ai familiari, ma si tratta, , «di un’attività che chiunque può compiere, proprio perché rientrante nella garanzia costituzionale della manifestazione del pensiero e della libertà della scienza».

Insomma, la prova del “ falso” o del “vero”, in mancanza di un documento prodotto dall’artista in vita, non può essere legata ad un certificato di autenticità rilasciato o non rilasciato da questa o da quell’altra Fondazione o Archivio d’Artista, anzi, qualora questi dichiarino pubblicamente di non riconoscere i certificati di autenticità rilasciati da un terzo, possono essere accusati di un comportamento diffamatorio.

In generale per portare elementi che possano provare oltre ogni ragionevole dubbio l’autenticità o la falsità di un’opera, è meglio affidarsi non ad opinioni, ma a fatti, come quelli che derivano dalle analisi scientifiche o agli studi sulla provenienza.

Questo sia per le opere antiche che per quelle moderne. In ogni caso infatti le analisi tecnico-scientifiche possono fornire considerazioni ed informazioni oggettive.

Curioso comunque che questo processo sia stato intentato proprio per opere di Gino De Dominicis.

L’artista marchigiano ha infatti spesso giocato con i concetti di autentico e originale. Si dice che temesse di essere spiato da Mario Schifano che aveva lo studio vicino al suo (e con una terrazza dal quale poteva vedere le sue opere), ma anche che abbia realizzato una sola opera grafica, proprio per poter dire che fosse unica e anche che abbia venduto un “cubo invisibile” ad un collezionista, che ricevette il nulla assoluto, spedito con un camion, insieme però ad un certificato di autenticità.

Anna Pelagotti
Anna Pelagotti